Il delfino, animale allegorico della salvezza
Il delfino è, per eccellenza, l’animale allegorico della salvezza, non a caso attributo di Poseidon. Il mito di Arione, in cui il citaredo grazie al suo canto viene salvato in mare dai delfini, presenta questo cetaceo come un positivo simbolo equòreo. Di esempi che come amico dell’uomo accorre in suo aiuto in mare è ricca la mitologia classica. Ulisse portava sul suo scudo l'immagine di un delfino perché il figlio Telemaco, ancora fanciullo, era stato soccorso in mare dall'intelligente, piccolo cetaceo. Delfi, il celebre santuario e oracolo d'Apollo, era così chiamato in suo onore. La città di Taranto fu fondata da Falanto giunto fin dal mare a cavallo di un delfino. Enalo e Fineide furono entrambi salvati da un delfino e così Icadio, il fratello cretese di Iapigio.
Portatore delle anime degli annegati
Il dio del vino, Dioniso, il Bacco dei romani, catturato dai pirati tirreni, li trasformò in delfini in modo da farli diventare buoni per accorrere in aiuto dei naufraghi. Nello Stretto di Messina, ad esempio, e in genere in tutta l’area del Basso Tirreno, l’ancestrale paura dei pescatori si deve alla credenza che il delfino sia portatore delle anime degli annegati.
Simbolo numismatico della Messina greca
Nella religiosità cristiana il delfino non ha perso la sua forte carica simbolica; si dice, infatti, che due delfini dal mare portarono in cima ai Peloritani la sacra immagine della Madonna, detta, poi, di Dinnammare, nello stesso sito dove forse prima sorgeva un tempio di Nettuno. È quindi ovvio che il delfino, sin dall'antichità, sia uno dei soggetti iconografici più ricorrenti, tanto da trovarlo riprodotto spesso in sculture e mosaici locali, come quello ad esempio, della Villa romana di San Biagio presso Castroreale, e nella numismatica della Messina greca.
La singolare caccia dei delfini nello Stretto
Il delfino sa essere al momento opportuno un predatore astuto e talvolta spietato, che preferisce agire in gruppo, osservando un rigido sistema di alleanze, ed è non solo capace di elaborare strategie sorprendenti per procurarsi il cibo ma di impiegare anche complesse e funzionali tecniche di caccia. Già l’erudito greco Eliano del II–III secolo d.C. avvertiva in un suo trattato che il delfino strappava le reti per cibarsi dei pesce e poteva compromettere la cattura dei tonni. Nella tradizione marinara, dunque, il delfino può diventare “fera maliditta” di cattivo augurio, al centro di superstizioni e talora caricato addirittura di poteri malefici o comunque soprannaturali. Nel XVIII secolo lo scillese Antonio Minasi, padre domenicano e professore di botanica nell’Università romana della Sapienza, ebbe modo di osservare e annotare il singolare fenomeno dello spiaggiamento attivo. I delfini attaccano in modo ben coordinato i pesci, sollevano ondate e spingono i pesci verso la riva. Quando le prede non hanno più vie di fuga, ammassate come sono a ridosso della battigia, vengono divorate fin sulla spiaggia fuori dall’acqua. Il botanico calabrese fece illustrare iconograficamente la spettacolare caccia dei delfini da disegnatori in una bellissima raccolta di incisioni dedicate al microcosmo ambientale e alla vita marinara dello Stretto di Messina. Fra le tavole artistiche con le puntuali didascalie del Minasi, una in particolare descrive la caccia degli abili delfini, che inseguono e assaltano branchi di tonni. Questi, una volta raggiunti, si difendono chiusi a triangolo dai cetacei, i quali però «con tre punti d’azioni, attaccandoli in semicerchio, gli vanno sempre controluce spingendo verso la riva». La tattica dei delfini ha buon gioco e la battaglia si trasforma in disfatta per i tonni.